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STALKING Dall’introduzione del reato di atti persecutori allo “stalking condominiale”.


Il delitto di atti persecutori, comunemente chiamato “stalking”, è entrato a far parte del nostro ordinamento con il d.l. 11/2009 (convertito poi dalla L. 38/2009) mediante l’introduzione dell’art 612bis c.p.. Tale disposizione punisce chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.


Si evince agilmente già dal testo della norma come quello in analisi sia un reato particolare: la struttura tipica della fattispecie infatti prevede che ad una condotta tipizzata corrisponda altresì un evento ben determinato. Per quanto riguarda la condotta, innanzitutto, è richiesto che il soggetto agente ponga in essere una pluralità di atti (si tratta infatti di un reato c.d. abituale). Per pluralità di condotte la Suprema Corte di Cassazione è giunta ad affermare che sono sufficienti a costituire la reiterazione richiesta anche solo 2 condotte di minaccia o molestia (Cass. n. 45648/2013; Cass. n. 6417/2010).

Quanto all’oggetto di tali condotte esse devono riguardare atti di minaccia o di molestia il cui contenuto può essere assunto dalle comuni definizioni che l’ordinamento penale corrente assegna a tali termini e pertanto per minaccia deve intendersi la prospettazione di un danno ingiusto e per molestia tutto ciò che viene ad alterare dolosamente, fastidiosamente e importunamente, in modo immediato o mediato, lo "stato psichico" di una persona.(C. pen., Sez. V, 27.9.2007, n. 40748; C. pen., Sez. I, 24.3.2005, n. 19718)


Tale reato è stato definito come reato di danno e di evento in quanto alle condotte precisamente tipizzate deve altresì corrispondere la realizzazione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, tali sono: 1) cagionare un perdurante e grave stato di ansia o paura nella persona offesa dal reato; 2) ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; 3) costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Tali eventi espressamente previsti nella disposizione codicistica sono, lo si ripete, alternativi tra loro. Sarà così sufficiente, al fine della realizzazione del delitto di atti persecutori, la realizzazione di uno dei tre eventi sopra elencati.


Tale tipologia di reato è stata introdotta in risposta alla necessità di sanzionare condotte che, singolarmente considerate, andavano a costituire fattispecie di reato di minore gravità o, in alcuni casi, addirittura non erano censurabili in quanto atti di per sé perfettamente leciti. Atti che invece, considerati al complesso della situazione che si crea tra soggetto agente e persona offesa, vanno a comporre uno scenario che la vittima del reato percepisce come opprimente e fortemente limitante e, quindi, rappresenta una fattispecie concreta molto più grave della semplice somma delle singole condotte che, pertanto, richiede una risposta sanzionatoria più severa rispetto a quella prevista dall’ordinamento per gli atti singolarmente considerati.


Data la natura del reato in esame anche il regime di procedibilità prevede alcune peculiarità: il c.d. delitto di “stalking” è procedibile a querela di parte, il termine per proporre atto di denuncia-querela però, in deroga a quello ordinario di tre mesi, è di sei mesi. Ulteriore peculiarità in merito è che la remissione della querela può essere solo processuale, ovvero, secondo il combinato disposto degli art. 152 c.p. e 340 c.p.p. deve essere fatta (e accettata) personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente o da un ufficiale di polizia giudiziaria. La querela è irrevocabile se il reato è commesso con minacce riconducibili ai parametri di cui all’art. 612 co.2 c.p. (Minaccia aggravata).

In alcune ipotesi più gravi il reato di atti persecutori è procedibile d’ufficio: in particolare se commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'art. 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché in caso di connessione del fatto con altro delitto procedibile d'ufficio.


Il termine “stalking”, assimilato dalla cultura anglosassone, in inglese viene utilizzato nella sua accezione letterale in ambito etologico per indicare il comportamento che un cacciatore assume nel braccare la preda: il parallelismo è, a ben vedere, indovinato in quanto basta pensare a come solitamente il delitto in esame sia posto in essere tramite il sorvegliare, l’inseguire o l’aspettare, col raccogliere informazioni sulla vittima o seguire i suoi movimenti, ed ancora tramite intrusioni, appostamenti sotto casa o sul luogo di lavoro, pedinamenti e tentativi di contatto.

Da ciò è facile intuire come, nell’immaginario comune oltre che nella casistica conosciuta, la manifestazione più tipica del reato di cui all’art. 612bis c.p. sia rappresentata dalle molestie poste in essere dal partner, dall’ex-partner o comunque da un soggetto legato affettivamente con la vittima, spesso unilateralmente.

Ritenere però che questa fattispecie, o per meglio dire questa categoria di soggetti, definiscano esaurientemente la fisionomia del reato di atti persecutori è sicuramente sbagliato, il delitto in esame può infatti configurarsi anche al di fuori di un legame affettivo o bramoso. Quindi “stalker” non sono solo gli ex-fidanzati o gli amanti non corrisposti, ma potrebbe essere chiunque: un collega, un collaboratore o un vicino di casa. Ancora più importante, il reato di atti persecutori non tutela solo i casi in cui lo “stalker” agisce manifestando un ossessione nei confronti della persona offesa ma anche tutte le situazioni in cui le molestie sono legate ad altri fattori o finalizzate ad ulteriori scopi (per esempio le molestie potrebbero provenire da un vicino di casa animato da prepotenza e non disposto a rinunciare alla musica ad alto volume di notte così impedendo ai vicini di dormire o, ancora, dirette a un vicino di casa per costringerlo ad andarsene e cambiare abitazione).


Deve dunque considerarsi come, restando nello schema normativo tassativamente previsto dall’art. 612bis c.p., il novero delle possibili manifestazioni del reato di atti persecutori sia estremamente vasto. Diversi possono essere i soggetti, le ragioni o le modalità di esecuzione del delitto di cui all’art. 612bis c.p.. In particolare negli ultimi anni si è parlato molto di cyber-stalking e stalking condominiale.

Il primo riguarda una normale applicazione del reato di atti persecutori, o meglio, una fattispecie aggravata del delitto in esame, come espressamente previsto dal terzo comma dello stesso art. 612bis c.p.. La peculiarità si individua nel mezzo che il soggetto agente utilizza per minacciare o molestare la vittima: le condotte incriminate sono infatti commesse per mezzo della tecnologia, in particolare tramite internet. Per esemplificare le molestie o minacce potrebbero essere commesse via e-mail, il monitoraggio di informazioni tramite social network; altre condotte moleste potrebbero essere furto d’identità o distruzione di dati fino a giungere ad episodi di c.d. “cracking”, ovverosia di accesso abusivo nel sistema informatico e furto o manipolazione di dati o informazioni.


La dicitura stalking condominiale invece viene utilizzata in due diverse accezioni: un primo significato ricollega tale termine alla fattispecie di atti persecutori commessa da parte (e in danno) di vicini di casa, tale scenario non prevede alcuna peculiarità essendo di per sé ordinariamente riconducibile al delitto ex art. 612bis. L’assegnazione dell’aggettivo condominiale al già conosciuto termine “stalking” quindi non è volto alla specificazione di una particolare fenomenologia del reato, ma bensì è da ricondurre alla necessità (più volgare che giuridica) di differenziare lo stalking commesso in danno di vicini di casa da quello ritenuto più tipico commesso dal partner o ex-partner.

Al titolo di stalking condominiale risponde però, nell’accezione giuridicamente più tecnica, anche una brillante interpretazione che la Corte di Cassazione ha espresso in merito al reato de quo e la cui peculiarità consiste, in determinati casi, nell’individuazione della persona offesa in un gruppo di persone e non nel singolo (Cass. Pen., sez. V, 25 maggio 2011, n. 20895). Con tale pronuncia il Giudice di legittimità, partendo da una fattispecie molto particolare, è giunto a riconoscere, in caso di stalking, un’apertura alle possibilità di tutela nei confronti del singolo non come tale ma come membro di un “gruppo” ben determinato, a prescindere dall’aver egli subito direttamente le minacce o molestie tipiche del reato di atti persecutori.


Per comporre adeguatamente il quadro dello stalking condominiale nella sua accezione più tecnica occorre prendere le mosse dalla Sentenza della Suprema Corte che per prima ha individuato questa particolare soluzione nel reato di atti persecutori.


Nel caso esaminato dalla Cassazione un condomino aveva posto in essere una serie di atti molesti contro alcune donne residenti nello stesso immobile senza che vi fosse una particolare connessione logica tra queste, eccetto il solo fatto di appartenere al genere femminile ed abitare nel medesimo stabile. Gli atti per cui il soggetto è stato condannato erano tra i più vari: pedinava e braccava le sue vittime nell’ascensore, minacciandole e insultandole in vario modo.

Sino a qui non sembrerebbe esserci peculiarità alcuna in quanto parrebbero esserci tutte le componenti richieste per la sussistenza del reato in esame.

Le condotte però, seppur plurime e reiterate nel tempo come richiesto dall’art. 612bis c.p., hanno trovato manifestazione a cavallo dell’entrata in vigore del d.l. 11/2009 (convertito poi dalla L. 38/2009), norma che ha introdotto, lo si ripete, il reato di stalking nel nostro ordinamento. In particolare gli atti persecutori sono stati commessi di modo che, successivamente all’entrata in vigore della legge de qua non vi erano, per ciascuna delle vittime, più di una condotta rilevante ai fini della configurazione del reato ex art. 612bis c.p. (facendo dunque venire meno il requisito indispensabile della reiterazione di condotte).


Un primo ostacolo che dunque viene portato al cospetto della Suprema Corte riguarda il requisito della reiterazione richiesta dal reato di stalking sotto il profilo intertemporale della legislatura di merito. In particolare il quesito su cui la Corte di Cassazione è stata chiamata ad esprimersi era se, per essere rilevanti ai fini della qualificazione del reato qui in esame, tutti gli atti commessi dal soggetto stalker dovessero essere successivi all’entrata in vigore del reato de quo o se fosse sufficiente che, dei plurimi atti persecutori, anche solo uno fosse successivo. La questione è meno banale di quanto a prima vista possa apparire: se infatti il principio cardine di diritto intertemporale di cui all’art. 2 c.p. per cui “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato” sembra definire tassativamente la questione, va però considerato che il reato di atti persecutori è un reato abituale ed è pertanto costituito da una pluralità di condotte il cui momento consumativo è da individuarsi nell’ultima di queste.

Deve quindi stabilirsi se la reiterazione di atti minatori e molesti, nei confronti di persona già offesa da atti dello stesso genere, attuata dopo l’entrata in vigore della norma integri la fattispecie di reato di atti persecutori come prevista dall’art. 612bis c.p.. In altre parole: se può definirsi reiterato un atto compiuto dopo l’entrata in vigore della norma e che costituisce pedissequa ripetizione di altri atti persecutori commessi antecedentemente alla positivizzazione del reato di stalking. In estrema sintesi se il delitto in esame reprime l’atto reiterato o la reiterazione di atti.

La Suprema Corte adotta l’interpretazione più vincolante, ovvero quella più strettamente legata all’art. 2 c.p. per cui, anche ai fini della continuazione (rectius reiterazione), possono essere considerate solo le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del d.l. 11/2009.


Tale scelta comportava però che, nel caso di specie, con il requisito necessario della reiterazione cadesse ogni possibilità di condannare il soggetto per il reato di stalking in quanto, considerando solo il periodo successivo all’introduzione del reato di atti persecutori, se anche le condotte erano plurime, non vi era più di un atto persecutorio per ogni persona offesa coinvolta.


La Corte di Cassazione però ha preferito approfondire la questione prendendo in esame la fattispecie concreta anche da un ulteriore punto di vista: quello delle vittime. Il Supremo Consesso ha infatti scelto di considerare le persone offese dal reato non singolarmente e separatamente tra loro bensì coralmente come gruppo facente capo alla categoria “donne di qualsiasi età conviventi nell’edificio”. Una volta individuata la persona offesa nel gruppo e non più nelle singole vittime poteva recuperarsi agilmente il requisito della reiterazione delle condotte altrimenti venuto meno e, per conseguenza, la possibilità di riportare la fattispecie all’ombra dell’art. 612bis c.p..


Le considerazioni che hanno giustificato questa operazione interpretativa trovano spunto da un’analisi molto concreta del delitto di atti persecutori e della sua ratio. La Suprema Corte ha tenuto in considerazione non solo la condotta punita dal delitto de quo ma bensì anche la situazione di fatto che viene a costituirsi attorno alla vittima del reato: si parla qui ovviamente della paura e del profondo stato di angoscia che la persona offesa dagli atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p. avverte. In una valutazione molto empatica del contesto creatosi nel caso di specie in cui era chiamata a decidere, la Cassazione riconosce come sia ineludibile l’implicazione che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza il turbamento di entrambe. In altre parole, il fatto che un soggetto regolarmente molesti donne di qualsiasi età che vivono nel suo stabile giustifica il timore di essere aggredite (e lo stato d’ansia o paura che ne consegue) di tutte le donne che vivono in quello stabile a prescindere dal fatto che esse siano state direttamente coinvolte in un episodio persecutorio o meno.

Conclude quindi il Collegio ritenendo che le singole condotte, in quanto ripetute nei confronti di donne di qualsiasi età conviventi nell’edificio, le coinvolgesse tutte.


Immediato e rilevante corollario della scelta interpretativa adottata dalla Giurisprudenza di legittimità è che, sebbene tale interpretazione trovi la sua genesi nell’ambito condominiale (di cui adotta anche la denominazione), il suo potenziale ambito di applicazione è generale. Basti pensare, per esempio, alla possibilità per un soggetto di essere legittimamente considerato persona offesa nell’ambito di una fattispecie che lo ha visto solo indirettamente coinvolto per il semplice fatto di essere parte di una categoria di persone indiscriminatamente perseguita da uno o più altri soggetti con condotte riconducibili al reato di cui all’art. 612bis c.p.. I risvolti pratici di tale impostazione sono svariati: non solo permette a tale soggetto di partecipare al procedimento penale e trovare quindi soddisfazione nelle eventuali pretese risarcitorie ma gli consente soprattutto la possibilità di chiedere e ottenere un intervento repressivo nei confronti del soggetto persecutore ampliando di fatto la tutela che l’ordinamento offre contro il reato di atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p..

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